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Magnifica e illuminante intervista di Luciano Piagnataro a Valerio Visenti. Aiuterà molti a riflettere sul mondo della comunicazione enogastronomica. E… non si poteva non condividere.

23 Agosto 2017Andrea De PalmaNessun commento

 

di Luciano Pignataro

Valerio Massimo Visintin adesso ha il vento in poppa dopo essere andato di bolina per molti anni. Le sue critiche al mondo gastronomico italiano da segnali isolati adesso dilagano sui social ed è spesso citato come esempio di giornalista non compromesso con il sistema. Il re del grillismo gastronomico insomma. Naviga nel mare web con il blog Mangiare a Milano del Corriere. Con lui ho in comune il tesserino di giornalista e lavorare in agosto. Allora gli ho chiesto una intervista per far passare questo mese noioso e sbracato, il Ramadan del benessere italiano, ed eccoci qua.

Ciao, Valerio, ovviamente non ti chiedo la foto 🙂 Ma ti puoi almeno presentare ai pochi che non ti conoscono?

Sarò breve. Faccio il critico gastronomico per il Corriere della sera e per altre testate. Visito in incognito i ristoranti che debbo valutare. E nelle occasioni pubbliche mi vesto da uomo nero per non mostrare il mio volto bruciando così l’ anonimato.

Come è nata l’idea di gestire un blog sulla gastronomia? Qual è stato il tuo percorso professionale che ti ha fatto approdare al cibo?

Il blog mi è stato proposto nel giugno del 2009 da Federico Palomba, che ai tempi era un manager della Rcs. Gli debbo eterna riconoscenza, perché mi ha offerto uno spazio senza vincoli espressivi e senza limiti d’opinione. Però, ero già navigato: ho cominciato a recensire ristoranti per Bar Giornale nel 1990, a 25 anni. Nel maggio di quell’anno, mio padre morì all’improvviso. Scriveva per la Cronaca del Corriere. Ma si occupava saltuariamente di gastronomia per altre testate. Avrebbe dovuto consegnare un pezzo su due locali friulani. “Hai cenato con noi in questi ristoranti. Fai il giornalista. Perché non telefoni a Bar Giornale e gli domandi se l’articolo puoi scriverlo tu?”, disse mia madre. Il direttore, Alberto Schieppati, acconsentì.

Nella tua intervista a Report ci si aspettava qualcosa in più da te. Bernardo Iovene ti ha tagliato o hai, più semplicemente, voluto evitare querele?

Bernardo Iovene è un ottimo giornalista. E dalla nostra lunga chiacchierate ha tratto con intelligenza i passaggi che gli sono sembrati più significativi.

 

Parti sempre lancia in testa contro le guide gastronomiche, i tuoi bersagli preferiti sono Marchi e Vizzari contro il quale, nella foga, sei inciampato in un errore di matematica sulle visite di ciascun ispettore di cui poi ti sei scusato. C’è qualcosa di personale nei loro confronti, per esempio il fatto che Marchi non ti invita a Identità Golose?

Nulla di personale. Giudico soltanto le azioni e i comportamenti, secondo il codice etico del nostro mestiere. Certo, se Marki mi invitasse a Identità Dolose cambierebbe tutto. Mi accorderei al coro dei suoi lacchè (anzi, lecchè vista la vocazione “linguistica” dei suoi adepti). E sistemerei la sua foto sul comodino al centro di due candele votive. Com’è noto, adoro quella manifestazione.

Come mai Luigi Cremona, così completiamo il top storico, non è nel tuo mirino? E Raspelli è uno stinco di santo o lo risparmi perché vi accomunano i bersagli comuni?

Non so quasi nulla di Luigi Cremona. Mi spiace. Forse sta troppo in disparte. Conosci buoni motivi per i quali dovrei occuparmene? Sulla santità di Raspelli, invece, ho qualche dubbio. Ma so bene che, negli anni Settanta, ha dato origine e dignità alla professione di critico gastronomico. Incardinandola su tre comandamenti esemplari: visitare i ristoranti in incognito, riferire ai lettori il proprio parere senza remore né pregiudizi, scriverne con eleganza stilistica. Gliene sono grato. E cerco di fare la stessa cosa.

Mi piacerebbe anche conoscere, se vuoi, un tuo pensiero post mortem su Stefano Bonilli.

Non si dovrebbe, ma mi auto-cito. All’indomani della sua scomparsa, scrissi: ” Se, all’istinto pionieristico e spavaldamente rivoluzionario che ne animò intuizioni e progetti negli anni Ottanta, non fosse subentrato un cinismo di comodo, borghese corporativo e militante, saremmo diventati amici. Fummo, invece, nemici.” Bonilli è stato il mio miglior nemico.

Cosa segui per aggiornarti? C’è qualcuno che ti piace, per esempio tra i giovani che scrivono?

Sono un lettore compulsivo. Leggo tutti. Alcuni li apprezzo. Altri meno. In entrambi i casi, eviterei di fare nomi.

L’obiezione che, spesso ti ho fatto anche io, è che in fondo sei il critico dei Navigli, ossia nelle tue recensioni è completamente assente tutto il movimento gastronomico italiano. Pensi che l’Italia gastronomica sia esclusivamente trattoria e che Bottura &C siano solo fuffa?

Negli ultimi 10 anni ho recensito oltre 2000 ristoranti di ogni ceto sociale e orientamento ideologico. Abbi pazienza, ma proprio non riesco a trovare un senso a questa tua domanda. O forse ritieni che a Milano e dintorni abbiano cittadinanza solo bettole e trattorie?

Ecco, cosa ti piace quando vai in un locale. Qual è la prima cosa che ti colpisce favorevolmente?

Dipende. I ristoranti sono macchine complesse e soggette a innumerevoli variabili. Non si può usare un unico metro per misurarli. Le recensioni sono il frutto di una piccola indagine, che si costruisce dando valore e un peso appropriati a ogni singolo indizio, a seconda delle premesse e delle circostanze.

Leggendoti non ho l’idea di una persona chiusa mentalmente. Però nel parlamentino gastronomico sei un vandeano: davvero pensi che sia tutto finto, l’impegno e le ambizioni dei giovani, la corsa verso la qualità, i sacrifici inenarrabili? Insomma, anche a me piace mangiare tantissimo la genovese alla Mattonella, ma non mi sentirei a mio agio se la cucina italiana fosse solo questo. Tu, invece?

Che posso dirti? Dovrei risponderti con le stesse parole di due domande fa. Aggiungo, per disinnescare ogni possibile equivoco, che non ho preconcetti o preferenze per un tipo di cucina o per un altro. Valuto quel che mi portano in tavola con eguale distacco.

Mi  definisci con precisione la differenza tra articolo e marchetta in questo settore?

Gli articoli si scrivono a esclusivo beneficio dei lettori. Le markette no. Hanno un secondo fine, un doppiofondo, un referente più o meno occulto che paga in danaro o in altra moneta.

In fondo, girando mascherato, non fai parte anche tu del circo? Quale alternativa racconti?

Se il mio volto fosse noto, non potrei visitare i ristoranti nella stessa condizione di un qualsiasi cliente. E non avrei modo di servire al lettore una cronaca credibile, senza il sospetto (o la certezza) di aver ricevuto un trattamento di favore; senza vincoli di riconoscenza o di amicizia; senza il dubbio di aver esercitato (volente o no) un abuso di potere. Non c’è dubbio che il mio mascheramento sia goliardico e circense. L’ho voluto così per rimarcare un’esigenza professionale serissima, quanto disattesa. Ma in questo modo, tengo alla larga il rischio di prendermi troppo sul serio.

A parte gli aspetti caratteriali dei guru della critica, non credi che il problema serio in Italia è che non ci sono editori disposti a pagare il lavoro? In fondo, se tu dovessi girare tutta l’Italia e non solo sostare a Milano, chi potrebbe sostenere le tue spese? E il Corriere ti rimborsa i conti? E allora l’alternativa qual è, se c’è, secondo te? Ossia, la critica gastronomica è solo mestiere per ricchi?

Non c’è dubbio che gli editori siano i massimi responsabili della condizione biasimevole nella quale versa la critica gastronomica italiana. I ristoranti costano. Chi si applica a questo mestiere va pagato il giusto e rimborsato. Perché la verginità di un giudizio si difende con l’indipendenza economica di chi è comandato a esprimerlo.

Quando Uliassi perse una forchetta sul Gambero bocciato dal notaio Perrotta in evidente appannamento critico dichiarò: evidentemente ho sbagliato qualcosa. Parliamo di appena quattro anni fa. Oggi invece vedo una insofferenza dei giovani cuochi e soprattutto dei patron dei ristoranti ad ogni critica, subito si scatenano su Facebook. È una crisi di autorità della critica o è un mondo che è imploso?

Le amicizie e le pastette tra critici e chef hanno frantumato la naturale barriera che dovrebbe separare i due ruoli. D’altra parte, gli chef non sono abituati ad affrontare appunti negativi. Semplicemente perché non li esprime nessuno. Il mantra del moderno critico italiano è: “se un posto non mi piace, non ne parlo”. In qualsiasi altro ambito giornalistico (cinema, letteratura, arte, teatro…), l’omissione sistematica di recensioni negative sarebbe accolta con pernacchi e sberloni. A parte il fatto che tra la stroncatura e il resoconto idilliaco ci sono infinite sfumature. Quando, rarissimamente, qualcuno azzarda un’accentazione men che positiva, casca il mondo. Inevitabile. Il fatto grave è che, immancabilmente, alla lapidazione del critico partecipino altri giornalisti gastronomici.

Valerio dove mi porteresti a cena a Milano?

Non vado mai a cena con i colleghi. Anche perché dovrei mostrargli il mio volto. E come faccio a fidarmi di gente che flirta con gli chef? Se, per assurdo, volessimo considerare un’eccezione, ti inviterei a casa mia. Noi ci mettiamo l’acqua, il fuoco, la manifattura e i famosi antipasti di mia moglie (una oliva). Tu porti il resto.

Fonte: lucianopigataro.it

 

Tag: Intervista Valerio Visentin, Luciano Pignataro
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